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Favignana e la sua storia: l’ex Stabilimento Florio

 

Gli orari di apertura nel periodo estivo sono dalle 10:00 alle 13:30 e dalle 17:00 alle 23:30. C’è la possibilità di fare le visite guidate in tre orari: 10.30 – 11.15 – 12.00 – 17.15 – 18.00 – 19.00 – 20.00 – 21.00 – 22.00. Il lunedì è chiuso.
Se potete e riuscite, optate per la visita guidata: è un valore aggiunto da non perdere. La guida Francesca, vi porterà portati alla scoperta del meraviglioso mondo dei tonnaroti, della tonnara e di tutti i favignanesi che hanno lavorato all’interno. La storia dello stabilimento si intreccia con quella della famiglia Florio prima e della famiglia Parodi successivamente, che diede agli isolani la possibilità di riscattarsi dalla povertà avendo una fonte di sussistenza economica.

All’interno dell’ex Stabilimento Florio è presente un museo archeologico con reperti trovati sulle isole Egadi, come anfore, statue, risalenti a diverse epoche storiche, tra cui l’epoca delle guerre puniche.

Il primo nucleo dello stabilimento, che oggi si estende per 32mila metri quadrati, risale al 1859, anno in cui il genovese Giulio Drago prese in affitto la tonnara di Favignana. Il grandioso stabilimento prese però vita solo grazie al senatore Ignazio Florio (1838-1891) che nel 1878 fece ristrutturare i fabbricati della tonnara. In realtà, ci ha spiegato Francesca, il termine tonnara viene spesso usato impropriamente (io l’ho appena fatto) : la tonnara non è l’edificio, ma la rete caratteristica utilizzata per la pesca dei tonni. Dopo lo splendore e il riscatto della famiglia Florio, si imporranno sulla scena i Parodi, nuovamente genovesi, che acquisteranno lo stabilimento nel 1937. Lo stabilimento continuò a lavorare proficuamente, essendo una delle principali fonti economiche dell’isola. Purtroppo negli anni Settanta cessò definitivamente la sua attività non potendo più essere competitivo nel mercato del mar Mediterraneo. Probabilmente la cessazione dell’attività fu anche dovuta al grande numero di tonnare volanti non regolamentate.
Sembra che l’isola di Favignana abbia nuovamente chiesto la concessione delle quote per la pesca del tonno e ci sono buone speranze che lo stabilimento riapra con il pregio di essere il più sostenibile d’Europa.
Lo stabilimento è immenso e interamente costruito con il tufo, risorsa dell’isola e pietra con cui sono costruite anche la maggior parte delle case degli isolani. Grazie alla sua caratteristica di materiale isolante, è l’ideale per costruire case e strutture a pochi passi dal mare e in zone molte ventilate come lo sono le isole. L’importante lavoro di restauro effettuato tra il 2003 e il 2009 ha fatto rivivere i numerosi ambienti, come uffici, magazzini, falegnameria, spogliatoi per gli uomini e spogliatoi per le donne, galleria delle macchine, forni utilizzati per la cottura, le tre alte ciminiere, la stanza dell’olio, il marfaraggio…

La pesca con la tonnara fissa racchiude storia e cultura, riti, sapere e tradizioni che si tramandano da generazioni. Poco è cambiato dai tempi dei Fenici o degli Arabi, le tecniche utilizzate sono praticamente le stesse. Il rais, a poppa della muciara, prega il suo Dio e i santi perché il mare sia generoso, i tonni in trappola vengono spinti all’interno della tonnara da una camera all’altra, fino alla camera della morte, dove inizia la mattanza.I tonnaroti issano gli enormi pesci a bordo e li colpiscono con gesti rapidi e precisi per non essere colpiti dai colpi di coda, il mare si tinge di rosso. Una visione che può sembrare cruenta, ma che ha il benestare degli ambientalisti ed è ritenuta una delle soluzioni più ecosostenibili per la pesca del tonno rosso. Vengono uccisi solo gli esemplari adulti, mentre quelli più giovani e specie di altro tipo vengono liberati.

Dopo la mattanza i tonni venivano portati nei pressi dello Stabilimento. Gli operai staccavano la testa ed estraevano le interiora e una volta sventrato, il tonno veniva trasportato in magazzini dal tetto basso da cui pendevano numerose corde. Appesi per la coda per parecchie ore, perché il sangue potesse colare, gli operai chiamavano questo luogo il bosco, probabilmente perché i numerosi animali appesi uno accanto all’altro ricordavano fitti alberi.

 

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